Per altri editti prometteva la soppressione de' conventi, la riduzione de' vescovadi, la incamerazione delle sterminate ricchezze della Chiesa, benefizi non sentiti dall'universale, come dimostrava il rispetto mantenuto intero ne' tumulti o cresciuto alla Chiesa ed al clero. L'abolizione de' titoli di nobiltà, l'atterramento delle immagini e de' fregi de' passati re, il nome di nazionali alle case già regie, il nome di tiranno alla persona del re Ferdinando, furono subbietti di altre leggi, volute dal proprio sdegno, o imitate dai fatti della Francia.
Provvedevano nel tempo stesso alle altre parti del politico reggimento. La finanza disordinata, come ho mostrato nel precedente libro, venuta in peggio da' succeduti sconvolgimenti, più inquieta per la urgenza dei bisogni e de' casi, fu la maggior cura del Governo. Legge inattesa dichiarò debito della nazione il vòto de' banchi, e ne promise il pagamento; con profferta benevola, ma non giusta né finanziera, imperciocché mancavano le ricchezze a riempire quelle voragini, ed in tanto moto delle carte bancali, confuse le fila della giustizia, non erano creditori del fallimento i possessori delle polizze. Per altra legge fu prescritto a' tributari di versare subitamente nell'erario del fisco le taglie dovute alla passata finanza, e le correnti; rimanendo intere le imposte pubbliche sino a quando nuovi statuti le ordinerebbero in meglio.
Fu intanto abolita la gabella sul pesce con gradimento de' marinari della città, che si fecero amici alla repubblica. Ma le abolizioni, nel Regno, delle gabelle sul grano e del testatico (indebitamente credute comunali) produssero effetti contrari; avvegnaché, pagando con esse le taglie fiscali, mantener queste, abolir quelle faceva scompiglio e impossibilità. I tributari, assicurati dalla legge, negavano gli usati pagamenti; i pubblicani, sostenuti d'altra legge, li pretendevano; perciò lamenti e discordie nelle comunità.
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