V. Tra mezzo a' quali disordini e povertà comparve comandamento del generale Championnet, che, donando alla città le somme pattovite per la tregua, imponeva taglia di guerra di due milioni e mezzo di ducati, e di altri quindici milioni su le province, quantità per sé grandi, impossibili nelle condizioni presenti dello Stato e nel prefisso tempo di due mesi. Pure il Governo, vinto da necessità, intese a distribuire il danno; e non potendo trar norma dagli ordini dell'antica finanza, perché mancavano tutte le regole della statistica, tassò i dipartimenti, le comunità, le persone per propri giudizi; ne' quali prevalendo il maligno genio di parte, si videro aggravate le province più salde alla fedeltà, e gli uomini più tenaci ai giuramenti. E intanto, per agevolare la tassa, fu dichiarato che in luogo di moneta si riceverebbero a peso i metalli preziosi, ed a stima le gemme: cosicché vedevasi con pubblica pietà spogliar le case degli ultimi segni di ricchezza, e le spose disabbellirsi degli ornamenti, e le madri togliere a' bambini le preziosità degli amuleti, e i fregi di religione o di augurio. La gravezza, il modo, la iniquità scontentavano il popolo.
Cinque del Governo andarono deputati del disconforto pubblico al generale Championnet; ed il prescelto oratore Giuseppe Abbamonti, parlandogli sensi di carità e di giustizia, lo pregava di rivocare il comando, ineseguibile allora, facile tostoché la repubblica prendesse forza ed impero; ragioni, lodi, lusinghe adornavano la verità del discorso, quando il generale, rompendone il filo, e ripetendo barbaro motto di barbaro antenato, rispose: - Sventure a' vinti! - Era tra i cinque Gabriele Monthonè, già capitano di artiglieria, gigante d'animo e di persona, amante di patria, e spregiatore d'ogni gente straniera, il quale, sconoscendo le forme di ambascieria, fattosi oratore di circostanza, così. disse: - Tu, cittadino generale, hai presto scordato che non siamo, tu vincitore, noi vinti; che qui sei venuto non per battaglie e vittorie, ma per gli aiuti nostri e per accordi; che noi ti demmo i castelli; che noi tradimmo, per santo amore di patria, i tuoi nemici; che i tuoi deboli battaglioni non bastavano a debellare questa immensa città; né basterebbero a mantenerla se noi ci staccassimo dalle tue parti.
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