Era dunque facile formare nuovo esercito di venticinquemila soldati, e trarre da' pericoli della patria venticinquemila migliaia di bisognosi e predoni. Ma la repubblica vergognava di essere difesa da genti straniere o venali, ed aspettava il giorno della battaglia per battere dei calcagni la terra e vederne uscire guerrieri armati.
VI. Soprastava male più grande, la penuria. I raccolti dell'anno precedente furono scarsi; la guerra esterna e la civile avevano consumato immensa quantità di grano; la grassa Sicilia. ricusava di mandarne, e le navi che scioglievano dai porti della Puglia e della Calabria erano predate da' navili siciliani ed inglesi. Crebbe il prezzo del pane, tanto più sentito per i perduti guadagni della plebe, per il gran numero de' servi congedati, per le industrie sospese, per la malvagità di quelle genti che speravano nelle disperazioni del popolo. Ma i governanti stavano sereni, confidando nello zelo de' partigiani ricchi di granaglia, nei compensi di Governo libero, nella rassegnazione e nel merito di patir male per amar la patria. Erano virtù dei reggitori, che, poco esperti della mala indole umana, le credevano universali; e però intendendo che bastasse a tutti i bisogni far certo il popolo della bontà di quel reggimento, spedivano patriotti a sciami per concionare e persuadere. Motivo di mestizia e di sdegno era quindi udire ne' mercati, vuoti di ricchezze e di negozi, oratore imberbe discorrere i benefizi della repubblica; e con eloquenza spesso non propria, ma voltata dalle arringhe francesi, né mai sentita dai volgari uditori pieni di contrarie dottrine, presumere di acquetare i lamenti e i bisogni della plebe.
Oratore fra tutti più saggio e più intenso era quel Michele il pazzo, capo del popolo ne' tumulti della città, pacificatore all'arrivo di Championnet, e, mutate le cose, alzato al grado di colonnello francese, e spesso mandato ambasciatore alle torme de' popolari.
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