Alcuni preti e frati, sapienti ancor essi, parlavano al popolo di Governo; e tirando dal Vangelo le dottrine di eguaglianza politica, e volgarizzando in dialetto napoletano alcuni motti di Gesù Cristo, incitavano e afforzavano l'odio a' re, l'amore a' liberi governi, l'obbedienza all'autorità del presente. Spiegavano come pronostici avverati di profeti, la fuga di Ferdinando, la venuta di genti straniere, il mutato Governo; così che, messe insieme le profezie, la croce, l'uguaglianza, la libertà, la repubblica, mostrandosi con vesti sacerdotali, e parlando linguaggio superstiziosamente creduto, insinuavano alla plebe sensi favorevoli al nuovo stato. Ma pure altri cherici dai confessionali inspiravano sensi contrari; e giovani dissennati guastavano le buone opere de' sapienti per dottrine di sfrenata coscienza, predicando libero il credere, libero il culto di religione; non premi celestiali alla virtù, non pene alle colpe: nullo il futuro come di belve.
VII. Le cure de reggitori, fermate ne' primi tempi alla sola città, si estesero alle province; ma, seguendo le istesse regole, mandavano commissari per dipartimenti, commissari per cantoni, con pienezza di potere quando convenisse alla esecuzione delle leggi, e a' casi urgenti di quiete pubblica o di guerra. Insieme a' quali si partivano molti altri col nome di democratizzatori, senza facoltà o stipendi, col carico di persuadere e ridurre alle forme repubblicane le città e, terre delle province; provveduti di lettere patenti del Governo, andando a turba per vero zelo o per falso, prevedendone uffizi pubblici e guadagni. Non dirò, perché facile a immaginare, quanto i commissari e i democratizzatori paressero ingrati agli abitanti delle province, rozzi, semplici, accorti; nulla curanti le bellezze non sentite di libertà; spregiatori di vòta eloquenza, ed usi a fermare le speranze nell'abolizione della feudalità, nella divisione delle terre feudali, nella minorazione dei tributi, nel miglioramento delle amministrazioni e della giustizia.
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