Benché laudabili e vere le discolpe, di già cominciate le avversità delle armi francesi sull'Adige, così che bisognava raccorre non già dissipare gli eserciti della Repubblica, prevalendo l'avidità del Direttorio e del generale Scherer, duce supremo in Italia, andò contro Firenze una legione francese che il generale Gauthier dirigeva; e giunta presso alle mura, intimò per araldo la resa della città. Ma Ferdinando III, rassegnato alle necessità del tempo, mandò in risposta l'editto seguente: "A' miei popoli. Vengono in Toscana armi francesi. Noi riguarderemo come prova di fedeltà e di amore de' nostri sudditi l'obbedienza al comando delle autorità, il mantenimento della quiete pubblica, il rispetto a' Francesi, la diligenza di evitare gli sdegni de' novelli dominatori: per le quali cose crescerà, se d'incremento è capace, il nostro affetto verso i popoli".
Dopo ciò l'armi francesi entrarono a Firenze; il gran duca, nel dì seguente 27 di marzo, ne partì; la quiete non fu turbata. Per i quali successi, vedendo allargati in Italia i domìni e le parti di repubblica, si rallegrò il Governo di Napoli. Ultima contentezza: imperciocché da quel dì non giunse nuova se non mesta.
CAPO SECONDO
Sollevazione de Borboniani nelle province. Geste del re di Sicilia e degl'Inglesi contro la Repubblica. Geste in difesa di lei.
XI. Cessato lo sbalordimento dal quale i Borboniani furono presi per la guerra infelice, la patita conquista ed il nuovo stato, e non repressi i primi tumulti nelle province da' battaglioni francesi, sempre annunziati, non mai visti, sursero le scontentezze discorse nel precedente capo; e in vari punti dello Stato ribellioni e armamenti. Stavano le moltitudini contro gli ordini nuovi; per la opposta parte, giovani scarsi di numero e di credito; tacevano i prudenti non per odio alla repubblica o per amore al passato, ma perché prevedevano i mali e i pericoli del futuro.
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