I Borboniani calabresi spedirono al re nella vicina Sicilia fogli e legati per avvisarlo delle condizioni di quelle province, e pregarlo mandasse milizie, come che poche, ed armi usai; e personaggi di autorità, e leggi e bandi per aiutare lo zelo delle genti già mosse; soccorresse il suo regno; impietosisse de' suoi fedeli esposti alle vendette dei nemici esteriori ed interni. Altri messi da Napoli e dalle Puglie accertavano i po a tumulti, e la facilità di scacciare i Francesi, di opprimere i ribelli. Ma il re, fermo nella idea di tradimenti, non prestando fede a que' fogli, ma credendoli nuovo inganno, confidava solamente nelle armi dei suoi alleati; egli nascondeva a sé medesimo i propri torti; la regina ed Acton onestavano per il tradimento i falli di Governo; Mack in un lungo scritto copriva i suoi mancamenti con quelli dell'esercito; i fuggitivi dal campo scusavano per lo stesso trovato le loro colpe; il capitan generale Pignatelli accusava traditori gli Eletti della città, i Sedili, la più parte de' nobili. Cosicché non altro udivasi nella reggia che tradimenti, traditori, pene future e vendette.
Ma le vecchie principesse di Francia; giunte in Palermo, narrando le scene di Tàranto, dicevano vere e grandi le mosse popolari nella Puglia; mentre gli uffiziali inglesi, mandati sopra navi, esploratori delle nostre marine, riferivano le cose istesse. Tenuto consiglio, fu deciso secondare quei moti; e poiché tra , consiglieri mostravasi ardente per la guerra il cardinale Fabrizio Ruffo, il re gli diede carico di andare in Calabria ne' feudi della casa; vedere, sentire lo stato della provincia, e, secondo i casi, avanzarsi nel Regno o tornare in Sicilia; il grado, il nome, la dignità gli sarebbero aiuto all'impresa, e scudo contro la malvagità de' nemici.
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