Né perciò paventarono i difensori.
Per antichi sdrusciti e per operate rovine alle pareti delle case, i Francesi penetrarono in quella parte della terra che, traversata dallo stesso fiume e rotto il ponte, fu nuovo impedimento ai vincitori. Ma la fortuna era con essi; i difensori non avevano demolite le pile, e stavano ancora le travi presso alle sponde. Ristabilito in poco d'ora il passaggio, cadute le difese e le speranze, fuggirono i Borboniani, di poco scemati, e superbi di quella guerra e delle morti arrecate al nemico. E quale sfogò lo sdegno sui miseri abitanti; e trovando nelle cave poderoso vino, ebbro d'esso e di furore durò le stragi, gli spogli e le lascivie tutta la notte. Ingrossarono le pioggie, e la terra burciava; al nuovo sole, dove erano case e tempii, furono visti cumuli di cadaveri, di ceneri e di lordure.
CAPO TERZO
Dopo la ritirata dell'esercito francese precipizi della Repubblica
XXVI. Non appena uscito dalla frontiera l'esercito francese, il Governo della repubblica bandì l'acquistata indipendenza, e rivocando le taglie di guerra, scemando le antiche, numerando i benefizi civili che aveva in prospetto, consigliava e pregava di non più straziare la patria nostra, ma tornar tutti agli offici di pace e al godimento che i cieli preparavano. E non pertanto, sospettoso di effetti contrari alle speranze, provide celeremente ai bisogni di guerra; imperciocché raccolse in legioni le milizie che andavano sparse in più colonne, coscrisse milizie nuove, diede carico al generale Roccaromana di levare un reggimento di cavalleria, ingrossò la schiera dello Schipani, formò due legioni, e le diede al comando dei generali Spanò e Wirtz: Spanò, calabrese, militare in antico, ma nei bassi gradi dell'esercito; Wirtz, svizzero, stato colonnello agli stipendi del re; e, lasciato dopo la sua partita sciolto d'impegni e di giuramenti, per amore di libertà arrolatosi alle bandiere della repubblica.
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