Non appena divolgato il pericolo ed il comando, andarono i cittadini volontari all'opera; e furono viste donne insigni per nobiltà, egregie per costumi, affaticare a quel duro lavoro le inusitate braccia, trasportando per parecchi giorni e sassi e terre; fu quindi il porto ben munito. Ed allora il nemico volse a Procida ed Ischia, isole del golfo, vi sbarcò soldati, uccise o imprigionò i rappresentanti e i seguaci della repubblica, ristabilì il Governo regio, e creò i magistrati a punire i ribelli. Si udirono le più fiere condanne, e il nome del giudice Speciale, nuovo, ma che subito venne a spaventevole celebrità.
XXVII. Giungevano fuggitivi alla città gli abitatori di quelle isole a pregare aiuti; e i repubblicani, più magnanimi che prudenti, stabilirono con pochi legni e poche milizie combattere il nemico assai più forte. Stava in Napoli, tornato con permissione del re di Sicilia, l'ammiraglio Caracciolo, di chiaro nome per fatti di guerra marittima e per virtù cittadine; ebbe egli il comando supremo delle forze navali, ed il carico di espugnare Procida ed Ischia. Sciolsero dal porto di Napoli i repubblicani lieti all'impresa, benché tre contro dieci; e valorosamente combattendo un giorno intero, arrecarono molte morti e molti danni, molti danni e morti patirono; e più facevano, e stavano in punto di porre il piede nella terra di Procida, quando il vento, che aveva soffiato contrario tutto il dì, infuriò nella sera, e costrinse le piccole navi della repubblica a tornare in porto: non vincitrici, non vinte, riportanti lode dell'audacia e dell'arte.
XXVIII. In Napoli frattanto le parti del re si agitavano in secreto, e, poco discorate dalla gioia e dalle apparenze de' contrarii, ordinavano potenti macchinazioni.
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