La povertà dell'erario non faceva intoppo al disegno; ché se il Governo ,(il generale diceva) mi fa padrone della vita e de' beni di dodici ricche persone che a nome disegnerò, io prometto deporre in due giorni nelle casse della finanza il mezzo milione per l'avido Megean, ed altri trecentomila ducati per le spese di guerra, "Cittadini direttori (conchiudeva), cittadini ministri e generali: alcune morti, molti danni, molte politiche necessità, che gli animi deboli chiamano ingiustizie, anderebbero compagne o sarebbero effetti de' miei disegni, e la repubblica reggerebbe; ma s'ella cadrà, tutte le ingiustizie, tutti i danni, morti innumerabili soprasteranno".
Inorridivano a quel discorso i mansueti ascoltatori: lasciar la città, le famiglie, i cittadini alla foga ed alle rapine de' Borboniani; concitare a delitti per poi punire; trarre, danaro senza legge o giustizia per forza di martori da persone innocenti; crear misfatti, crear supplizi, erano enormità per gli onesti reggitori di quello Stato, disapprovate dal cuore, dalla mente, dalle pratiche lunghe del vivere e del ragionare. Cosicché tutti si unirono alla sentenza del ministro Manthonè: il quale, inesperto delle rivoluzioni, misurando al valor proprio il valore dei commilitoni, magnanimo, giusto, diceva che dieci repubblicani vincerebbero mille contrarii; che non abbisognavano i francesi, però che andrebbe Schipani contro Sciarpa, Bassetti contro Mammone e Frà Diavolo, Spanò contro de Cesare, egli medesimo contro Ruffo; e resterebbe in città ed in riserva il generale Wirtz con parte di milizie assoldate, con tutte le civili, e la legione calabrese. Mossero al dì seguente Spanò e Schipani.
XXX. Questi giunse alla Cava ed accampò: l'altro, battuto nei boschi e tra le strette di Monteforte e Cardinale, tornò in città scemo d'uomini; disordinato, con esempio e spettacolo funesto.
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