Tumultuava la città; messi di Castellamare annunziarono che, per tradimento, bruciava l'arsenale; ma poi seppesi che, sebben vera la iniquità, fu l'incendio, per zelo delle guardie e per venti che spiravano propizi, subito spento. Si udivano in città, nella notte, gridi sediziosi, e serpevano spaventevoli nuove di preparate stragi e di rovine.
Bando del Governo prescrisse che al primo tiro del cannone dal Castelnuovo i soldati andassero alle loro stanze, le milizie civili agli assegnati posti, i patriotti ai castelli della città, i cittadini alle proprie case; che al secondo tiro, numerose pattuglie corressero le strade per sollecitare la obbedienza a que' comandi; e al terzo, fussero i contumaci dalle pattuglie medesime uccisi, stando il delitto nella disubbidienza, la pruova nello incontro per le vie, la giustizia nella salute della repubblica. Poscia tre nuovi tiri dal castello, non, come i primi, a lungo intervallo, ma seguiti, annunzierebbero la facoltà di tornare alle ordinarie faccende. Provato il bando nel seguente giorno, fu l'effetto come la speranza; grande il terrore, deserte le vie, mestissima, la faccia della città: città vasta e vuota è come tomba.
Schiere ordinate di Russi e Siciliani, secondate da stormi borbonici, assalirono in quel giorno medesimo, 11 di giugno, il forte del Granatello, intorno al quale attendavano le milizie di Schipani, mille uomini o poco meno; soccorsi da navi cannoniere che l'ammiraglio Caracciolo guidava con animo ed arte mirabile. Il campo non fu espugnato, il generale restò ferito, menomarono i soldati; accampò l'oste nemica incontro al forte. Cosicché nella notte, disposti da ambe le parti gli assalti e le difese, il generale Schipani, avendo stabilito di ritirarsi nella città, inviò tacitamente ai primi albori numerosa Compagnia di Dalmati alle spalle dei Borboniani, che però sorpresi e sconcertati, diedero a Schipani opportunità di uscir dal campo, combattere, spingerli sino alla chiesa parrocchiale di Portici, e aver certa ritirata sopra Napoli.
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