I Russi assalirono Vigliena, ma per grandissima resistenza bisognò atterrare le mura con batteria continua di cannoni; e quindi Russi, Turchi, Borboniani, entrati nel forte a combattere ad armi corte, pativano, impediti e stretti dal troppo numero, le offese dei nemici e de' compagni. Molti de' legionari calabresi erano spenti; gli altri, feriti né bramosi di vivere; cosicché il prete Toscani di Cosenza, capo del presidio, reggendosi a fatica perché in più parti trafitto, avvicinasi alla polveriera, ed invocando Dio e la libertà, getta il fuoco nella polvere, e ad uno istante con iscoppio e scroscio terribile muoiono quanti erano tra quelle mura oppressi dalle rovine, o lanciati in aria, o percossi da sassi: nemici, amici, orribilmente consorti. Alla qual pruova d'animo disperato, trepidò il cardinale, imbaldanzirono i repubblicani, giurarono d'imitare il grande esempio.
Con tali auguri stava Wirtz sul ponte, Bassetti su la collina, e uscì dal molo con lance armate l'ammiraglio Caracciolo, il cardinale co' suoi avanzava. Cominciata la zuffa, morivano d'ambe le parti; ed incerta pendeva la vittoria stando sopra una sponda numero infinito, e su l'altra virtù estrema e maggior arte. Tra guerrieri sciolti e volontari andava Luigi Serio, avvocato, dotto, facondo, guida un tempo ed amico all'imperatore Giuseppe II, come ho rammentato nel precedente libro; ma contrario al re Borbone per sofferta tirannide, bramoso anzi di morte che paziente alla servitù. Egli, avendo in casa tre nipoti, per nome De Turris, giovani timidi e molli, allo sparo della ritirata lor disse: Andiamo a combattere il nemico;" ed eglino, mostrando l'età senile di lui, la quasi cecità, la inespertezza comune alla guerra, la mancanza delle armi, lo pregavano di non esporre a certa ed inutile rovina sé e la famiglia.
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