Procedono, sorprendono ed uccidono le guardie della batteria, inchiodano i cannoni, bruciano i carretti e tornano illesi ai loro posti, disegnando altre sortite e giurando di morire nei campi. Il romore della pesta, i lamenti e i gridi alla uccisione dei Borboniani, annunziando pericolo (ma incerto) nel campo russo, nei campi della Santa Fede e nelle stanze del cardinale, tutti batterono all'arme, tenendo schierate le truppe sino al giorno, mentre il codardo porporato divisava tirarsi addietro di molte miglia.
E pensieri più aspri lo agitavano. Null'altro sapevasi della flotta galloispana fuor che navigava nel Mediterraneo; e benché flotte maggiori e nemiche girassero nel mare istesso, era incerto lo scontro, e negli scontri la fortuna de' combattimenti. Molte città sospiravano ancora la repubblica; e delle città regie parecchie si scontentavano per la crudeltà delle genti della Santa Fede. Le promesse dei premi cadevano; menomavano le torme, però che i meno avari, saziata l'avidità, volean godere vita oziosa e sicura. E finalmente avendo a fronte gente animosa e disperata, il cardinale temeva per sé e per gli statichi (tra i quali un suo fratello) custoditi nel Castelnuovo. Nelle veglie angosciose di quella notte, decise mandar legati al Direttorio della repubblica per trattar di pace; e a giorno pieno, meglio computate le morti e i danni della sortita, le fughe, lo sbalordimento nei suoi campi, uditi a consiglio i capi delle truppe e i magistrati del re, tutti proclivi agli accordi, inviò messaggio a Megèan con le proposte di accomodamento convenevole ai tempi, alla dignità regia ed a causa vinta. Gli ambasciatori di Ruffo ed un legato di Megèan riferirono quelle profferte al Direttorio della repubblica.
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