Comandava Santelmo, come innanzi ho detto, il capo di legione francese Megèan, che da più giorni mercanteggiava la resa del castello; ed è fama non contraddetta che l'avidità di lui, scontentata dalle tenui offerte di Ruffo, si volgesse, per patti migliori agl'Inglesi; ma, ributtato, fermò col primo; e stabilirono:
Rendere il castello a S.M. Siciliana e suoi alleati; esser prigioniero il presidio, ma tornando in Francia, sotto legge di non combattere sino al cambio; uscir dal forte con gli onori di guerra, consegnare i sudditi napoletani, non a' ministri del re, ma degli alleati.
Ed al seguente giorno, consegnato il castello, uscendone il presidio, furono visti i commissari della polizia borbonica correre le file francesi, scegliere e incatenare i soggetti napoletani; e dove alcuno sfuggiva la vigilanza di que' tristi, andar Megèan ad indicarlo. Erano uffiziali francesi, benché nascessero nelle Sicilie, Matera e Belpulsi; e pur essi vestiti della divisa di Francia, furono dati agli sbirri di Napoli. I ministri de' potentati stranieri, come che presenti, tacevano, mancando a' patti della resa, i quali ponevano quei miseri nella potestà degli alleati. Era tempo d'infamie.
Cedé, poco appresso, come io diceva, la fortezza di Capua, indi Gaeta. Le condizioni furono le medesime di Santelmo, lo scandalo minore; avvegnaché non erano tra le file francesi, o si nascosero, i malaugurati soggetti del re delle Due Sicilie. Imbarcarono i Francesi; e sopra tutte le ròcche sventolava la bandiera de' Borboni; comandava il regno, luogotenente del re, il cardinal Ruffo; le città, le terre, i magistrati gli obbedivano. Tutto dunque cessò della repubblica, fuorché, a maggior supplici degli animi liberi, la memoria di lei, e lo spavento dei presenti tiranni.
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