Egli era nel giorno intesso (però che le due leggi avevano la stessa data) conquistatore e vinto, fuggitivo e presente, privato del regno e possessore.
Da questi principi egli trasse le ordinanze per la Giunta di Stato, dichiarando rei di maestà, in primo grado, coloro che, armati contro il popolo, diedero aiuto a' Francesi per entrare in città o nel regno; coloro che tolsero di mano ai làzzari il castello Santelmo; coloro che ordirono col nemico segrete pratiche dopo l'armistizio del vicario generale Pignatelli. E rei di morte i magistrati primari della Repubblica, rappresentanti del Governo, rappresentanti del popolo, ministri, generali, giudici dell'Alta commissione militare, giudici del Tribunale rivoluzionario. E rei di morte i combattenti contro le armi del re, guidate dal cardinal Ruffo. E reo di morte chi assisté all'innalzamento dell'albero della libertà nella piazza dello Spiritosanto, dove fu atterrata la statua di Carlo III; e chi nella piazza della reggia operò o vidde il distruggimento delle immagini regali o delle bandiere borboniane ed inglesi. E reo di morte que' che scrisse o parlò ad offesa delle persone sacre del re, della regina, della famiglia. E rei di morte coloro che avessero mostrata empietà in pro della repubblica o a danno della monarchia.
Quarantamila cittadini, a dir poco, erano minacciati della pena suprema, e maggior numero dell'esilio; col quale si castigavano tutti gli ascritti a' club, i membri delle municipalità, e gl'impiegati della milizia, benché non combattenti. E infine, chiamando colpevoli anche le guardie urbane, coscritte, senza il concorso della volontà, per forza di magistrati e di legge, il re diceva giusto il loro imprigionamento, e necessario a liberarle il suo perdono.
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