Fu stanza di nove prigionieri, tra' quali più noti il principe di Torella, grave d'anni ed infermo, il marchese Corleto della casa dei Riari, l'avvocato Poerio, il cavaliere Abbamonti.
V. Comincio racconto più doloroso: avvegnaché dopo le battaglie della Trebbia e di Novi perdute da' Francesi, vidde il governo delle Sicilie il pieno trionfo dell'antico sul nuovo; e rompendo gli estremi ritegni della politica (perciocché non ne aveva della coscienza), stabilì di non più attenuare alcuna pena; e da quel punto, confermando tutte le sentenze di morte, non altro restò a' capitolati che allungar la vita di alcuni giorni come in agonia, nella spaventevole cappella de' condannati. Erano morti Oronzo Massa ed Eleonora Pimentel; successe Gabriele Manthonè, che dimandato da Speciale quali cose avesse fatte per la repubblica: - Grandi, rispose; non bastevoli: ma finimmo capitolando. - Che adducete, replicò il giudice, in vostra discolpa? - Che ho capitolato. - Non basta. - Ed io non ho ragioni per chi dispregia la fedeltà dei trattati. - Andò sereno alla morte.
Seguì a Manthonè Nicola Fiano, che, fortunato nel processo, non era colpevole di morte; ed in quelle stesse barbare leggi mancava materia alla sentenza, ma per i comandi venuti di Sicilia dovendo egli morire, caso e malvagità diedero aiuto alla Giunta. Il giudice lo chiamò dal carcere, e, appena visto, disse: - Sei tu? - E prescrivendo che fosse sciolto delle catene, rimasti soli: - Ah, Fiano, soggiunse, in quale stato io ti rivedo! quando insieme godevamo i diletti della gioventù non era sospetto che venisse tempo che io fossi giudice di te reo. Ma vollero i destini per mia ventura che stesse in mie mani la vita dell'amico. Scordiamo in questo istante io il mio uffizio, tu la tua miseria; come amico ad amico parlando, concertiamo i modi della tua salvezza.
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