Io ti dirò che dovrai confermare e che tacere per aver merito e fede di veritiero. - Fiano di maraviglia e di amicizia piangeva; Speciale (egli era il giudice) lo abbracciava. E così, come quei volle, l'altro disse; e lo scrivano registrò le parole, che ebbero effetto contrario alle promesse; perciocché il traditore fece negare le cose certe nel processo, confessare le ignote; e l'infelice andò a morte per i suoi detti. Egli era stato in giovinezza compagno a quel malvagio nelle lascivie della vita.
Francesco Conforti, uomo dottissimo, scrittore ardito contro le pretensioni di Roma, legislatore nella Repubblica, pericolava della vita. Gli scritti suoi eran perduti, ma pregato da Speciale a ricomporli, gli fu detto che in gran conto si terrebbero i presenti servigi e i passati. Ebbe miglior carcere e solitario; si affaticò dì e notte a vendicare dal sacerdozio le ragioni dell'impero; e, compiuto lo scritto, lo die' al suo giudice. Il quale aprì allora il processo; e, pochi giorni dopo il servigio, gli diede in mercede la morte.
Tali fatti e la disperazione del vivere spinsero i prigionieri a partiti estremi. Un tal Velasco, di forza e di persona gigante, schermendosi nelle risposte al giudice Speciale, sentì da quel barbaro la minaccia che al dì seguente, in pena del mentire, lo farebbe strozzare sulle forche. E Velasco: - Nol farai, - replicò; né compiuta la parola, si avventò al nemico, e strascinandolo alla finestra, sperava che, abbracciati, precipitassero insieme. Lo scrivano presente lo impedì, ed accorrendo alle grida gli sgherri della Giunta, Velasco andò solo al precipizio.
Il conte di Ruvo, svillaneggiato dal giudice Sambuti, ruppe le ingiurie, dicendogli: - Se fossimo entrambo liberi, parleresti più cauto; ti fanno audace queste catene: - e gli scosse i polsi sul viso.
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