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      Quel vile, impallidito, comandò che il prigioniero partisse; e non appena uscito, scrisse la sentenza che al dì vegnente mandò quel forte al supplizio. Egli, nobile, dovendo morir di mannaia, volle giacere supino per vedere, a dispregio, scendere dall'alto la macchina che i vili temono.
      Altri prigionieri nella fossa profonda del Castelnuovo tentarono il fuggire; aiutati da egregia donna, libera in città, perciocché nel tempo tristissimo che descrivo, impediti gli uomini dal pericolo e dalla paura, le donne presero il carico di assistere gli afflitti. Elle, spregiate nelle sale dei ministri, scacciate dalle porte delle prigioni, oltraggiate nella sventura dalle lascivie degli seri-vani e dei giudici, tolleravano pazientemente le offese; e senz'ardire o viltà, tornavano il dì seguente alle medesime sale, alle medesime porte a dissimulare le patite ingiurie con la modestia o col pianto. Se alcuno sfuggì dalla prefissa morte, o se di altri scemò la pena, fu in mercé delle cure e della pietà delle donne. Delle quali una, per fatica e per cimenti, fece penetrare nella fossa lime, ferri, funi, altri strumenti; architetto della impresa il matematico Annibale Giordano, rammentato nel terzo libro, gli altri, addetti a segare i cancelli ed a comporre gli ordegni per discendere al sottoposto mare della dàrsena, dove piccola preparata nave li accoglieva. E già stando sul termine il lavoro, si allegravano della speranza di libertà que' prigionieri, dicianove di numero, ma di virtù smisurata; però che tra loro vedevi Cirillo, Pagano, Albanese, Logoteta, Baffi, Rotondo; quando nel pieno della notte, schiuse le porte, viddero entrare nella fossa Duecce, un giudice di polizia, birri, sgherri, altre genti; e i due primi andar dirittamente dove stavano sotterrati gli istromenti, e poi ad una cava ed a' cancelli, cammino disposto al fuggire; non come uomini che van dubbiosi, ma spediti e certi.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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