Avvegnaché due de' prigioni, lo stesso Annibale Giordano, provetto ne' tradimenti, e Francesco Bassetti, generale della Repubblica, palesarono al comandante del forte le avanzate pratiche in premio di salvezza. E difatti diciasette subirono infima sorte; i due vissero vita infame, corta il Bassetti, lunga e non misera il Giordano.
Continuavano i giudizi. Il giudice Guidobaldi, tenendo ad esame il suo amico Niccolò Fiorentino, uomo dotto in matematiche, in giurisprudenza, in altre scienze, caldo ma cauto seguace di libertà, schivo di uffici pubblici, e solamente inteso, per discorsi e virtuosi esempi, ad istruire il popolo, Guidobaldi gli disse: - Breve discorso tra noi; di', che facesti nella Repubblica? - Nulla, rispose l'altro, mi governai con le leggi o con la necessità, legge suprema. - E poiché il primo replicava che i tribunali, non gli accusati, dovessero giudicare della colpa o della innocenza delle azioni, e mescolava nel discorso alle mal concette teoriche legali, ora le ingiurie, ora le proteste di amicizia antica, e sempre la giustizia, la fede, la bontà del monarca, il prigioniero, caldo di animo ed oratore spedito, perduta pazienza, gli disse: - Il re, non già noi, mosse guerra ai Francesi; il re ed il suo Mack furono cagioni alle disfatte; il re fuggì, lasciando il regno povero e scompigliato; per lui venne conquistatore il nemico, e impose ai popoli vinti le sue volontà. Noi le obbedimmo, come i padri nostri obbedirono alle volontà del re Carlo Borbone; ché la obbedienza de' vinti è legittima, perché necessaria. Ed ora voi, ministro di quel re, parlate a noi di leggi, di giustizia, di fede? Quali leggi? quelle emanate dopo le azioni! Quale giustizia? il processo secreto, la nessuna difesa, le sentenze arbitrarie!
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