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      Se dove mancano le forze o sono sceme, la universale scontentezza si manifestasse per mestizia e disertando i luoghi dove si aspetta l'uomo abborrito, quella collera muta sarebbe sincera e convenevole a dignità di popolo; ma la virtù del silenzio, comunque facile e sicura, è tenuta insopportabile dagli uomini molli e corrotti della nostra età. Cosicché Ferdinando, applaudito in Sicilia l'anno 1799 della tirannide esercitata su i Napoletani, e poi da questi l'anno 1816 della servitù ricondotta in Sicilia, vidde l'agevolezza di soggiogare i due popoli stolti.
      Ma non i premi o le promesse del re, né la disciplina ormai tardiva del cardinale bastavano a moderare i Borboniani nella città: le sfrenatezze a capriccio di plebe crescevano o scemavano; cedevano talvolta da stanchezza, e risorgevano maggiori per lievi occasioni o mal talento. Bisogno di guerra esteriore venne opportuno ad allontanare dal regno quelle torme per menarle a Roma, con la speranza nel re di cacciare i Francesi, e ne' guerrieri cristiani di spogliare la città santa e tornar pieni di novello bottino. Mossero sotto l'imperio di Rodio, che si chiamava negli editti "generale dell'esercito della Santa Fede, e dottore dell'una e l'altra legge", accompagnati da poche milizie ordinate e da parecchi squadroni di cavalieri, che il colonnello Roccaromana comandava: Sciarpa, Pronio, Nunziante, Salomone, Fra Diavolo, menavano senza gli ordini militari quelle genti, dodici migliaia; ma che variavano, quando per i Romani che ad essi univansi, e quando per diserzione da' campi. Presero stanze, dopo leggeri azzuffamenti, ad Albano e Frascati, correndo la sottoposta pianura verso Roma, dove il popolo tumultuava, perché pochi Francesi presidiavano la vasta città, e le insegne cristiane con la pompa della Croce sventolavano a vista delle mura; ed il generale Rodio teneva pratiche interne per mezzo di un tal


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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