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      Incamerò i beni de' fuggitivi, de' condannati, degli assenti, dei puniti ad arbitrio; avvegnaché negli editti suoi, trattando di castighi o di ammende, usava fissarne i limiti "nel nostro arbitrio"; e per eternare que' travagli compose la Polizia, moltiplicò i birri e le spie, creò Tribunale di Stato, che giudicava con le regole della Giunta di Napoli. Allo spettacolo di tanta ingiustizia nei supremi del Governo, si rompevano i già deboli freni della plebe e delle milizie; quindi i Romani tenuti partigiani della Repubblica erano in molte guise travagliati dai pessimi del popolo, da parecchi della Santa Fede, e (rendasi alla verità pieno trionfo e doloroso) da taluno dell'esercito napoletano, i quali tutti spogliavano le case e le botteghe, profanavano per lascivie la santità delle domestiche mura, ingiuriavano, percuotevano, uccidevano per fino i resistenti alla loro malvagità.
      Mentre durava stato sì misero, come che l'Aragona lo chiamasse riordinamento, egli rifaceva le leggi per la giustizia ordinaria, per la finanza, per l'amministrazione; sempre a nome del re di Napoli, scordando affatto il pontefice, e imitando gli statuti e le forme del governo del regno, ed anzi prescrisse che a non altro impero dovessero i popoli obbedire se non a quello che emanava da Sua Maestà siciliana. Creò tribunale col nome di Reggenza di giustizia per le cause civili, ed altro di Reggenza di polizia per le criminali; le due Reggenze, congregate in un sol magistrato, rappresentavano, per imitazione, la Gran Corte della Vicaria napoletana. Così, tribunale novello, il Camerale, giudicando le cause civili delle comunità e delle pubbliche amministrazioni, somigliava alla Camera della Sommaria; ed un Consiglio Rotale, magistrato supremo di appello nelle sentenze criminali o civili della Reggenza, e consultore nei casi di grazia o nelle commessioni del governo, figurava la Real Camera di Santa Chiara.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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