Gli abitatori dell'isola, inchinevoli alla quiete, ma fedeli e devoti al buon principe Ferdinando III, tumultuavano contro i nuovi dominatori, e cinquecento soldati di Toscana guardavano la fortezza di Porto Ferraio sotto il colonnello Fisson, di origine lorenese, di vecchia età oltre i sessant'anni, bravo per naturale vigore ed onorate abitudini di guerra. Queste genti, aiutate da mano inglese di quattrocento soldati sotto il colonnello Airey, e da tumulti nell'isola, e dalle bande dei cittadini, sostennero assedio maraviglioso per combattimenti di terra e mare, lungo di tredici mesi, contro schiere le più agguerrite e fortunate del tempo. Né cederono che per comando di quello istesso Ferdinando III, la cui bandiera difendevano; e il Fisson per ischivare la vergogna non già, ma il dolore di cedere la fortezza, ne lasciò il carico ai cittadini, ed egli con le genti assoldate navigò per Toscana. Le guardie municipali aprirono le porte ai Francesi, ed il già presidio, scemato di quei soli che morirono combattendo, tornò libero ed onorato alla patria, dove il Fisson serbò, ed oggi, morto, ancor serba bella fama. Non era guerra in Europa che per la Inghilterra, ma venne a rallegrare le speranze il congresso in Amiens di ambasciatori francesi e inglesi per trattar di pace.
Così lieto finiva l'anno 1801, quando in Napoli morì l'infante Ferdinando, nipote al re, e poco appresso la infelice madre di lui Clementina, giovine che di poco superava i vent'anni, sposa e moglie sempre misera, perché prima, come ho detto, trattenuta in Austria da impedimenti di guerra, poi venuta nell'armistizio tra schiere nemiche e fortunate, mesta nelle nozze, fuggitiva con la famiglia dal regno, scontenta della casa, orbata del figlio, lungo tempo moribonda per malattia lenta e struggitrice, serbando interi i sensi e la ragione.
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