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      Egli per certo tempo quietava i creditori con le promesse o con le ricompense di altri interessi e di impieghi pubblici; ma caduto alfine il credito, la fede, la pazienza, si levarono lamentanze infinite, e nelle rovine dell'erario rovinò il ministro.
      Il re, proclive alla collera, lo dimise con onta; ed egli tornava in patria, piccola terra di Molise, povero, creditore del suo stipendio di molti mesi, e debitore agli amici del suo stretto vivere, nella carica sublime di ministro. Tra via fu rivocato in Napoli, dove andò chiuso nelle carceri del Castelnuovo; ma poco appresso, esaminata dai ragionieri l'amministrazione del danaro pubblico, fu trovata sregolata ma sincera; i disordini quando comandati, quando necessari; ed il ministro veramente colpevole di tenere uffizio dov'era impossibile il successo. Ebbe pensione dal re di tremila ducati all'anno, e ristoro di fama, ma taccia d'incapacità negli uffizi che richiedono misura, ordine e severo adempimento di regole e di leggi. Abolito il ministero e ricomposto il Consiglio di finanza, il re nominò vice presidente il cavalier dei Medici, lo stesso palleggiato poco innanzi tra favori e disgrazie della Corte; ma oggi l'emulo suo general Acton, giunto a vecchiezza, sazio di fortune, stanco di brighe, marito e padre, non più impediva il Medici, divenuto uomo comune, da che perdé il prestigio dell'ammirazione e della novità; e la regina, matura d'anni, travagliata sul trono, dedita a' gravi pensieri di regno, non più curava le arti e gli studi dei cortigiani a piacerle. Niente dimostra meglio l'umana piccolezza che la scena di una Corte, dove si vedono ardenti passioni e nefandi delitti per tali cose che in breve mutar di tempo e di condizioni fanno riso e vergogna.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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