XXXII. A quegli aspetti e pericoli, la Casa di Napoli, scordata ne' trattati di pace, schernita dagli agenti dei re suoi collegati, sola con la memoria de' suoi passati mancamenti, trepidava. Convocato consiglio, il re, mostrandosi rassegnato alle male venture, diceva unico scampo la Sicilia, e sola speranza di regno nell'avvenire; il principe Francesco, timido ed inesperto, si taceva; í vili ministri del re, benché in animo distaccandosi dal sovrano infelice, secondavano le voglie di lui, perché infingarde e sicure. Ma la regina, sempre animosa nelle avversità, rammentando i prodigi del 99, viventi ancora i campioni di quel tempo, spente coi traditori le interne tradigioni, ordinato l'esercito su la frontiera, e già levate nuove milizie, diceva possibile il vincere, facile il difendersi, certo almeno l'onore di resistere, vergogna lasciare un trono da fuggitivi; spartiva le incombenze tra il principe Francesco negli Abruzzi, il principe Leopoldo nelle Calabrie, lei stessa nella Terra di Lavoro e nella città, il re in Sicilia. La qual sentenza componitrice dei vari pareri, lasciando a' timidi sicuro asilo in Palermo, ed agli ambiziosi vasto campo nelle agitazioni del regno, fu applaudita. Colei non avvertiva che erano i tempi mutati dal 99; che l'amore de' popoli abusato strugge sé stesso; e che il pregio di fedeltà andò sì pieno di misfatti o d'infamia, che erari oramai voltato a dispregio e divenuta ingiuriosa la parola di Santa Fede. Ma le opinioni vere dei popoli raro giungendo all'orecchio dei re, e la regina credendo facile il rinnovamento dei popolari prodigi, chiamò a sé gli uomini più noti di quella parte, Fra Diavolo, Sciarpa, Nunziante, Rodio, e con maniere allettatrici, delle quali abbondava, dato l'ordine di attruppar genti, gli avviò nelle province.
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