Detti fallaci e derisi. L'altro bando nominava al Consiglio di reggenza il tenente generale don Diego Naselli d'Aragona, il principe di Canosa, uomo di onesta vita (padre a quello dello stesso nome noto oggi per diversa fama), il magistrato Michelangelo Cianciulli.
XXXIII. Era certa la conquista, ma di alcuni giorni lontana; e certo il nuovo re: ma reggeva lo Stato l'autorità dell'antico. La plebe, avida, scatenata, infrenabile da forze legittime, perché mancanti o svogliate, certa di perdono dal vincitore per allegrezza e prudenza della conquista; e perché le colpe o i colpevoli si sperdono fra i tumulti, minacciava e impauriva gli onesti della città; mentre i reggenti, deboli per vecchiezza, inesperti al governo dei popoli ed a' pericoli, timidi dell'antico re, timidi del nuovo, stavano fisi a mirar gli eventi e smarriti. I partigiani dei Francesi, assembrati nascostamente per provvedere alla propria salvezza ed alla quiete della città, ma senza ordini o capi, vari d'animo e di senno, sperdevano le ore, che veloci e pericolose fuggivano; quindi tra loro, moti agitati, costernazioni, timori; ma pure speranze ed allegrezza. E fu ventura che i primi della parte borbonica fossero fuggitivi, così che la plebe, divisa pur essa ed incerta, ignorando il modo di prorompere, dissipava i tempi e le occasioni.
La Reggenza, inviati al principe Giuseppe il marchese Malaspina e il duca di Campochiaro, ambasciatori, ad informarlo dell'autorità venuta in lei dall'editto regio, e proporre armistizio di due mesi, udì per assolute risposte, cedesse le fortezze, aprisse le porte della città, o si aspettasse render conto di ogni stilla di sangue francese o napoletano che fusse versata per guerra stolta ed inutile.
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