Così che, stringendo il tempo e i timori, stando l'esercito francese presso alle mura di Capua, gli ambasciatori medesimi concordarono, a solo patto di quiete pubblica e di rispetto alle persone ed alle proprietà, la resa delle fortezze e dei castelli del regno, il libero ingresso nella città, l'obbedienza al conquistatore. Così, cessato il timore della guerra esterna, crescevano, per lo avvicinamento dei Francesi e per la voce plebea che quegli accordi venivano da tradimento, i pericoli interni della città; insurgevano i prigionieri a rompere i ceppi e le porte, si assembravano a gruppi nelle piazze più frequentate i làzzari ed i già noti nel sacco del 99. Così finiva il giorno 12 di febbraio, e, per molti segni, l'alba vegnente pareva dovesse illuminare lo spoglio e le stragi nella città. Ma in quella notte, in un congresso di partigiani francesi, uomo risoluto così parlò: - La nostra vita o la nostra morte, la quiete della città o lo scompiglio stanno nelle nostre mani. La reggenza è una forma vana di governo, sprovvista di credito e di forze; i tribunali sono chiusi; la Polizia, flagellata dalla mala coscienza, si nasconde; mancano re, leggi, magistrati, ordini, forza pubblica; la società è dunque sciolta, ogni cittadino debbe provvedere alla sua salvezza; chi dimani sarà primo in armi sarà vincente. Io propongo star desti ed armati, e, prima che il giorno spunti, correre alle case dei compagni, unirgli, e andando, crescere di numero e di possanza. La piazza Medina sarà nostro campo; e di là, spartiti a pattuglie, percorreremo la città per raccorre i buoni, sperperare i tristi, opprimere i contumaci. Se al primo sole cento di noi andremo uniti, sarà nostra la città e la vittoria; ma se precederanno venti o meno làzzari armati gridando sacco e guerra, noi soffriremo guerra, sacco ed esterminio.
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