Quello esercito, superata senza contrasto la frontiera, avanzando per le vie di Aquila, Ceperano e Fondi, intimò arrendersi ai comandanti di Civitella, Pescara, Capua e Gaeta; che non però si arresero, benché le consuete trascuratezze di guerra, e non so quali speranze di pace, avessero ritardato i provvedimenti di assedio. Intanto l'esercito procedeva. La città di Napoli aveva in quel tempo vergognoso privilegio, per far sicura sé stessa, rassegnar le chiavi al vincitore, giunto in Aversa, e patteggiare ignobile passeggiera quiete a prezzo di durevole servitù. Perciò la paurosa Reggenza concordò per ambasciatori, come ho narrato nel precedente libro, rimettere al nemico le fortezze, i castelli, i luoghi fortificati, trasgredendo il comando lasciatole dal re Ferdinando di non mai cedere (qualunque fosse la estremità dei casi) le fortezze del regno. Dopo l'accordo Pescara e Capua furono date ai Francesi; Civitella, che per virtù del comandante colonnello Wood ricusò di obbedire, assediata pochi giorni, bloccata tre mesi, per estrema povertà di vettovaglie si arrese, e fu dai vincitori smurata. Gaeta si apprestò alle difese, perciocché il principe di Philipstadt, che ne teneva il governo, rispose alla Reggenza che egli disobbediva al comando di lei, per comandi maggiori e onor di guerra.
VIII. A' 14 febbraio le prime schiere francesi occuparono la città, ma l'ingresso, preparato, magnifico per suoni militari, vesti ed insegne, fu guasto da stemperata pioggia. Il qual temporale sforzò a tornare nel porto sette navi, che il giorno innanzi avevano sciolto per la Sicilia, cariche di ricchezze, e di persone che, per paurosa coscienza, e partigiani de' Borboni, o timidi, o in altro modo miseri ed ambiziosi, spatriavano.
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