La mala fama di alcuni, sventura di tutti, fece che la Polizia, avutili in potere, gli chiudesse in carcere.
In quel giorno istesso il marchese Vanni morì di volontaria morte. Egli, di natali onesti, tristamente ambizioso, delatore nelle cause di Stato, e dipoi barbaro inquisitore ed iniquo giudice, avendo tratto dal male oprare potestà, titoli e doni, poi abbandono e dispregio, bramò, allo avvicinarsi dell'esercito francese, fuggire in Sicilia; e perciò, ricordando alla regina i suoi servigi, chiese su le regie navi un ricovero, da colei negatogli: cosicché, dolente della ingratitudine, tediato della vita, aspettò che il nemico giugnesse in città, scrisse il seguente foglio, e si uccise: "" L'ingratitudine di una Corte perfida, l'avvicinamento di un nemico terribile, la mancanza di asilo, mi han determinato a togliermi la vita, che oramai mi è di peso. Il mio esempio serva a render saggi gli altri inquisitori di Stato "". Onesti sensi, che darebbero buona fama a chi gli scrisse, se non venissero da disperato consiglio!
La descritta morte del Vanni m'invita a riferire due altri casi. Guidobaldi (le cui nequizie ho raccontato nel precedente libro), depresso all'entrar de' Francesi, maltrattato, prigione, ottenne, in mercé di preghiere e per pietà di canuta vecchiezza, vivere confinato in un piccolo villaggio degli Abruzzi ch'era sua patria, ma non ne avea le dolcezze, perché abbandonato in sin dall'infanzia, ed erano altrove famiglia, magione, ricchezze, rimembranze di vita; poco tempo vi dimorò come in carcere, e disperatamente morì.
Più tristo del Guidobaldi era stato nel 1799 il ferocissimo Speciale. Viveva in Sicilia, sua patria, dispregiato, allorché da' disordini della coscienza turbato l'intelletto, divenne maniaco, furioso, soffrì tutti i dolori e le ingiurie di quel misero stato; morì, e tanto odio pubblico lo accompagnò nel sepolcro, che i suoi congiunti, vergognando, nascondevano il pianto e non osarono vestirsi a bruno.
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