Più volte la vittoria ondeggiò, sì che i Borboniani il primo giorno furono in procinto di abbandonare la città, i Francesi, nel secondo, di levare il campo; ma nel terzo la discordia, facile ad accendersi fra popolari adunanze, trasse gli assediati chi a fuggire, chi a ripararsi sulle navi, chi a chiudersi nella cittadella. Presa la città e messa a sacco, arresa la cittadella nel seguente giorno, furono le morti numerose e crudeli; tanto guasto essendo il costume del secolo, che le pratiche di umanità serbate in guerra non si credono dovute a popoli armati, benché fossero quelle armi sacre e legittime.
Disfatta Maratea e lasciata alle sue miserie, i Francesi, avanzando nella Calabria, soggettando tutte le terre sino a Cosenza, cinsero di assedio Amantea. Ma tanta nimicizia scoppiò contr'essi ne' popoli, che, al primo apparire di quelle armi, i cittadini disertavano le città, i contadini le ville, e, girando, per sentieri nascosti, si adunavano armati alle spalle della colonna a fin di combattere le ultime file, ed opprimere que' soldati, che, stanchi o infermi, se ne scostavano. Saputi dal re di Sicilia quei moti, compose schiera di partigiani e soldati che, disbarcando presso a Reggio, espugnarono la città, strinsero d'assedio Scilla, datasi mesi prima senza contrasto a' Francesi, e proseguivano, circondati dalla foga del popolo, verso Monteleone. Mentre il generale Steward, uscito dai porti della Sicilia con seimila fanti e cavalieri inglesi, fornito d'abbondanti artiglierie di marina, aiutato dalle ciurme, scese nel golfo di Sant'Eufemia, presso a Nicastro, e poco innanzi alla riva pose il campo, fortificato con potenti e coperte batterie di cannoni, ed avendo provvisto per le avversità di fortuna il ritorno alle navi.
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