Ma non moveva per non perdere i vantaggi del luogo, e perché bastava il grido a più concitare quelle genti contro i Francesi.
Il generale Regnier, comandante nelle Calabrie, vedendo il doppio assalto di Siciliani e di Inglesi, raccolse i suoi (seimila soldati) e gli accampò in Maida, lungi sette miglia dalle tende nemiche, in luogo eminente e munito. Ma le genti sollevate intorno al campo predavano tuttodì le vettovaglie, uccidevano i soldati smarriti, peggioravano le condizioni di vita e di sicurezza; e l'oste inglese, messa su le arene infuocate di quel lito deserto, percossa nel giorno dai raggi cocentissimi del sol di luglio, respirando nella notte l'aure insalubri de' vicini paduli, languiva, infermava, era in procinto di abbandonar l'impresa. Quando Regnier, avido di vendetta, assaltò il campo; egli che in Egitto, combattendo contro Steward, fu sventurato, sperava ristoro di fortuna in Calabria.
Ordinate le schiere in due linee, marciò parallelamente all'ordine di battaglia degl'Inglesi, formati e fermi innanzi al campo, volendo (ei diceva) sospingerli nel mare confusamente sì che a loro mancasse l'aiuto delle navi. Ma questi, vedendo a poca distanza gli assalitori e tollerandone le prime offese, smascherarono le batterie e cominciarono fuoco vivissimo di cannoni e archibugi. La prima linea francese fu dalle troppe morti disordinata, sì che un sol reggimento, ed era svizzero, perdé in pochi istanti mille e tredici soldati. Regnier, rinnovando la battaglia, comandò il passaggio di linea, e che la cavalleria assaltasse le formidabili batterie; ma né queste furono prese, né la seconda prova fu della prima più avventurosa. In meno di due ore le perdite francesi erano così grandi, che il generale fece suonare a raccolta, e ridusse quattromila uomini appena sopra i monti di Nicastro e Tiriolo, serbando il possesso di Catanzaro, ed aperto il cammino verso Cosenza.
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