E gli assediati, viste aperte le mura ed in pronto il nemico di assaltarle, dimandarono patti di resa: ma non così certamente se il prode Philipstadt era nella fortezza; imperciocché il colonnello Storz, che dopo la mortal ferita del primo ne faceva le veci, animoso anch'egli e risoluto alla guerra, aveva debole autorità di secondo, e comandava per consigli, male estremo degli assedi. Fu concordato in quel giorno istesso rendere Gaeta a' Francesi ed imbarcare la guarnigione per Sicilia, prima giurando di non combattere contro la Francia ed i suoi confederati per un anno ed un giorno. Erano i prigioni tremila e quattrocento; alcune altre centinaia rimasero con gli stessi patti agli ospedali; altri per via di mare fuggirono liberi; ed altri, infedeli o incostanti, si diedero nascostamente al vincitore.
Al giorno delle prime offese, 7 luglio, montavano gli assediati intorno a settemila, metà degli assediatori; bordeggiavano in giro alla fortezza o stavano ancorati nel porto quattro vascelli inglesi, sei fregate, trenta cannoniere o bombarde, alcune navi da trasporto. In tutto l'assedio la fortezza tirò centomila palle o bombe, e l'altra parte quarantamila. Furono morti o feriti novecento Borboniani, mille e cento Francesi: tra' Borboniani ferito nel capo il principe di Philipstadt; tra' Francesi il generale Vallongue, colpito da scheggia di bomba, cessò di vivere al terzo giorno; ed il general Grigny, con miglior fortuna, mozzato del capo da una palla da sedici. Degli altri, prodi ancor essi, sono i nomi oscuri ed inonorati.
XXIII. L'esercito di Gaeta, dopo breve riposo, sotto il comando dello stesso Massena, andò nelle ribellate Calabrie, bandite dal Governo in istato di guerra; cessando in quelle province l'impero delle leggi, l'autorità de' magistrati, le forme, i giudizi, gli usi civili, si commettevano le facoltà, la libertà, la vita de' Calabresi al volere del solo uomo che reggeva l'esercito.
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