Il generale Verdier, con tremila duecento soldati, artiglierie ed attrezzi, andò ad assaltarla; e quindi, cinta quella fronte del castello, che è verso la campagna, alzata una batteria di cannoni e di obici, agli albòri del giorno, per segno convenuto, avanzarono a corsa con le scale i soldati più prodi; ma la forza del luogo ed il valore del presidio li respinse, sicché scemati ritornarono ai campi. Altre offese, altri assalti, altre minacce andate a vuoto, il generale sperò di entrare in Amantea per il lato meno guardato, perché creduto inaccessibile. In una notte lunga e fosca del dicembre, piccolo drappello di sette uomini, de' quali primo il più destro, rampicandosi fra' sassi che separano dal mare la città, tanto oltre avanzò che sentiva il parlare delle ascolte nemiche, mentre colonna più numerosa con funi e scale tacitamente seguiva le segnate tracce, ed altre schiere gridando e sparando attaccavano il muro bastionato per divertire i difensori dal vero assalto. Ma per voce infantile che dalla fronte di mare grida: - I Francesi! - accorrono le guardie, tirano sassi ed archibugiate verso il luogo che il fanciullo indicava; è colpito un de' sette e muore, altri della colonna maggiore sono feriti; ma nessuno si lagna per non discoprire la impresa. Si rassicurava per quel silenzio il presidio, scemavano i colpi, udivasi un calabrese rimprocciare il fanciullo dell'affermare ostinato di aver visto e inteso i nemici, quando un obice del campo scoppiò in aria, e con la luce palesò gli assalitori. Mille offese ad un punto partirono da' vicini ripari, molti dei Francesi furono morti, si arrestarono gli altri e si raccolsero nei campi. Il generale, poi che vidde non bastare le sorprese, non gl'inganni, non le forze, levato l'assedio, ritornò doglioso ed assetato di vendetta in Cosenza.
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