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      E così per l'audacia de' primi, per la ignavia de' secondi, il debito dello Stato scemava.
      Fu ribassato il tributo del sale; ed indi a poco, mutandone l'economia, impedito lo smercio libero, distribuito il genere per comunità e famiglie (cinque rotoli all'anno per ogni testa), il consumo forzoso, indi minore, un dazio giusto trasformato in aborrito testatico; ma l'amministrazione più semplice, meno infida. La finanza in quel tempo era logorata da mille fraudi, facili per la novità delle leggi, delle imposte, de' mezzi di esigerle; e per amministratori e pubblicani, la più parte francesi, avidi, a modo di conquistatori superbi verso tributari inesperti e scontenti. Di tutte le taglie pubbliche, quella del sale è gravissima a' Napoletani; che, avendo sale in miniere a piccola profondità, sale disciolto in alcuni ruscelli e formato in cristalli ne' margini, sale addensato per cocente sole di luglio dalle acque marine sopra i lidi, vedono i larghi doni della natura appropriati da cupidigia finanziera; e poiché facile il controbando, cosi molesta la vigilanza che nei paesi più meridionali del regno impediva di attingere acqua dal mare, perché, esposta al sole, lascia sale ne' vasi.
      Separato il patrimonio regio da quello dello Stato, l'uno si affidò al ministro di Casa Reale, l'altro ad un direttor generale; il primo indipendente, se non dal re; il secondo circondato di un Consiglio, e soggetto a pubblico sindacato. Il demanio dello Stato, per conventi disciolti, beni confiscati, vescovadi ed abbazie vacanti, fu ricchissimo; ma quelle dovizie, finché duravano nell'amministrazione fiscale, erano disperse, come, se davansi a vendita o a censo o a dono, si tramutavano in benefizio pubblico, migliorando i possessi per novella industria, fruttando tributi alla finanza, creando possidenti nuovi, partecipi e fedeli a' destini del Governo.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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