I luoghi più chiusi e più sacri, come i claustri, davano ricetto a' congiurati; e perciò furono viste monache professe uscir dal vietato limitare, e sedere con abito religioso in pubblico giudizio sulla panca de' rei.
In quel mezzo fu imprigionato Agostino Mosca, perché sopra i monti di Gragnano, dove era atteso il re Giuseppe, stava in agguato ed armato per ucciderlo. Aveva in tasca una lettera della regina di Sicilia, scritta di suo pugno, istigatrice velatamente al delitto, ed altra più scoperta della marchesa Villatranfo, dama di lei: portava sul nudo del braccio destro una maniglia di capelli legati in oro, dono della stessa regina, fattogli, ei diceva, per mano del Canosa, ad impegno de' promessi servigi. Convinto del tentato misfatto, fu condannato a morte, e giustiziato con orribili pompe nella piazza del Mercato, in mezzo a popolo spaventato e muto.
Né le congiure si limitavano alla città; ma nelle province, dove erano più libere per l'assenza o scarsezza delle forze del Governo, diramando, si spiegavano in aperti tumulti e brigantaggio. I mezzi di leggi non bastando per discoprire tante trame e reprimere tanti moti, la Polizia insidiosamente mascherava da congiurati i suoi emissari, contrafaceva lettere, corrispondeva sotto simulate forme con la regina di Sicilia e coi più conti Borbonici; ne indagava le pratiche, le seguiva; e giunte a maturità di pruova, le palesava e puniva. Non inventava congiure, come maligna fama diceva, ma, potendo spegnerle sul nascere, le fabbricava e ingrandiva, mossa da due stimoli pungentissimi: timore e vanto. Allo scoprimento, gli emissari, poco fa congiurati, si trasformavano in accusatori e testimoni; le lettere, ricercate o contrafatte, in documenti; il fabbro di quella rete (perché magistrato di Polizia) componeva il processo; e giudici militari, scelti ad occasione ed a modo, ne giudicavano.
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