Io ho discorso in questo libro, e spesso discorrerò in poche righe, tempi e fatti lontani, così esigendo l'indole del regno di Gioacchino, che fu di ridurre ad atto e migliorar le instituzioni teoriche ed imperfette di Giuseppe, e di spingere i Napoletani e sé medesimo alla grandezza, ad ogni ambizione ed a' precipizi. Perciò m'era d'uopo disegnare brevemente, e come a gruppi, ciò che egli fece da successore di altro re; e descrivere con ordini di tempi e di cose le opere una all'altra succedente del proprio ingegno.
VIII. Prima tra queste fu la milizia assoldata e la civile. Gioacchino al suo giungere in Napoli compose due reggimenti di véliti, ed altri battaglioni e compagnie sotto inavvertiti nomi: astuzie necessarie per assoldar uomini. Giuseppe non aveva osato porre in piede la coscrizione, perché la ripugnanza dei popoli al militare servizio, l'istesso brigantaggio, la facilità a' coscritti di fuggire in Sicilia, facevano temere che uomini levati per noi servissero di aiuto e reclutamento al nemico: rispetti gravi e veri, non dispregiati ne' primi tempi di regno dallo stesso arrischioso Gioacchino. I reggimenti di Giuseppe si composero di uomini tratti dalle carceri e dalle galere, o di perdonati del brigantaggio, o de' ribaldi adunati dalla Polizia, o infine (e questa era la parte più pura ma piccola) de' prigioni delle ultime guerre della Calabria; formavansi nelle piazze chiuse, s'impediva loro l'uscirne, ed appena instrutti andavano in lontane regioni. I due reggimenti di véliti davano minor sospetto, perché formati di gentiluomini, abborrenti così dal brigantaggio come dal fuggire in Sicilia, lasciando alle vendette della Polizia le famiglie.
Per le milizie civili nuova legge e difettiva, imponendo non piccola taglia a' possidenti e troppo servizio a' militari, pareva scritta per avarizia e per imporre a' popoli travagli e tributi; né a sostegno della società ma del Governo.
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