Ma tante agitazioni copriva apparenza di calma; e sì che vedevasi il re sempre lieto fra' popolani, la regina coi figli al pubblico passeggio ed ai teatri, le spese di lusso accresciute, i magistrati, gli offizi, il Consiglio di Stato agli ordinari negozi; gli atti e decreti del Governo come nei tempi di pace e di sicurezza.
L'armata nemica procedeva, sbarcando nei luoghi meno guardati della marina pochi soldati, non pochi briganti; questi per correre il paese, quelli per tenersi accampati alcune ore, e tornar volontari o scacciati alle navi. Così lentamente navigando per dieci giorni, giunse alle acque di Napoli, e spiegò a pompa, di riscontro alla città, le vele; delle quali, per il gran numero de' legni e per lo studio a schierarli, pareva il golfo coperto. Così restò per due giorni, e nel terzo assaltò Procida ed Ischia, meno per disegno di guerra che per curare gl'infermi e dar ristoro ai cavalli: Procida si arrese alle prime minacce, Ischia fece debole resistenza; pochi soldati che guardavano quelle due isole andarono prigioni nella Sicilia.
Nei seguenti giorni quei legni rimasero nelle posizioni stesse oziosi, onde l'immenso popolo della città, che al primo apparire della flotta sbigottì, oramai stava a rimirarla come spettacolo. Pochi fanti, più cavalieri guardavano la spiaggia da Portici a Cuma; alcuni battaglioni custodivano il colle di Posilipo; il resto dell'esercito accampava sul poggio di Capodimonte. Né vi era altra guerra se Gioacchino, per mal pesato consiglio e per genio de' combattenti, non avesse chiamata in Napoli da Gaeta, dove stava ancorata e sicura, la sua piccola armata, che di una fregata, una corvetta e trentotto barche cannoniere si componeva. Obbediente al comando, salpò le ancore il capitano di fregata Bausan, e navigando nella notte parte attraversò dell'armata nemica, coperto meno dalle tenebre che dalla incredibile temerità della impresa.
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