Fra i delitti di brigantaggio e quelli che dal brigantaggio derivavano, il censo giudiziario del regno numerò in quell'anno 1809 trentatremila violazioni delle leggi.
Sconvolgimenti sì grandi si operavano sotto il nome del duca d'Ascoli, del principe di Canosa, del marchese della Schiava e di altri primari cortigiani del re di Sicilia, ed avevano incitatori e seguaci molti già fuggiti coi Borboni. Avvegnaché nei disegni di quella guerra, e nelle opinioni e discorsi della Corte borbonica, il brigantaggio, tenuto mezzo legittimo e chiamato voto e fedeltà di popolo, non faceva ribrezzo ai Borboniani più onesti. Ma il re Gioacchino, che ne giudicava per le opere, furti, assassini, rovine, e niente di sacro, di nobile, di grande, non popolo mosso, comunque barbaramente qual nel 1799, a sostegno de' propri diritti, o di opinioni, che sono diritti nei popoli, ma plebe armata, ladra, omicida, fu preso da tanto sdegno e vendetta, che dettò tre leggi degne di ricordanza.
Rammentata l'ostinatezza dei fuorusciti a combattere con modi atroci contro la patria, e l'essersi accompagnati ad esercito straniero, e l'avere alcuni mosso, altri seguìto il brigantaggio, prescrisse che i beni liberi di quelle genti fossero confiscati, e parte data in ricompensa ai danneggiati, parte in premio ai più zelanti seguaci del Governo, il resto venduto a benefizio della finanza: con modi tanto celeri e larghi che apparisse il Governo sdegnoso, non avido, ed ai suoi magnifico.
Con altra legge invitò i Napoletani che militavano per il re Borbone a disertare quelle bandiere e venire in patria. ove avrebbero, come più bramassero. il ritiro dal servizio. o lo stesso grado che lasciavano nell'esercito di Sicilia. e miglior fortuna ed onorato combattere per la terra natale.
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