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      A coloro che, schivi all'invito, cadessero prigioni, minacciava come a ribelli la morte. Ma lo dico ad onor degli uffiziali borbonici e di Gioachino, non alcuno tra loro per lusinghe o minacce disertò, né prigioni ebbero altra pena che le consuete molestie della prigionia militare.
      Una terza legge prescrisse che in ogni provincia, per cura del comandante militare e dell'intendente, si facesse lista dei briganti, chiamati dopo allora "fuorgiudicati"; si affiggesse nei pubblici luoghi di ogni comune; si desse ad ogni cittadino facoltà di ucciderli o arrestarli; arrestati, si giudicassero dalle Commissioni militari con le consuete celeri forme; uguale pena di morte avessero i promotori e sostenitori del brigantaggio, benché non inclusi nelle liste, e questi in apparenza vivendo nelle città; s'incarcerassero le famiglie dei capi o dei più conti delle bande; ed infine, dei briganti dannati a morte si incamerassero i beni. Formate le liste, si vidde maggiore di quel che credevasi la mole del brigantaggio; ed era fortuna che le bande non avessero accordo, né simultaneità di opere, né unità di obbietto, e senza ordini guerreggiassero e senza regole; condizioni necessarie a genti avventicce, per malvagità radunate.
      XVI. La Polizia, ritornata in potenza e rianimati i già depressi suoi ministri, ripigliò le antiche pratiche. A sua dimanda fu fatta altra legge che imponeva alle comunità la compensazione dei furti e danni arrecati nel territorio dal brigantaggio; e poiché le comunità popolose e ricche potevano tener lontani i briganti, quella rigidezza colpiva le più misere. La facoltà d'incarcerare le famiglie dei fuorgiudicati produsse miserevoli arresti di vecchi padri, vecchie madri, innocenti sorelle, giovani figliuoli; ma si aveva almeno alle crudeltà la certa guida del parentado: la facoltà d'incarcerare i promotori e gli aderenti, vaga, arbitraria, facile agli errori e agl'inganni, produsse mali smisurati ed universale spavento.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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