Nel giorno, nella notte, da Reggio a Scilla, da Torre di Faro a Messina, in mare, in terra era guerra continua, ma più a sdegno che ad effetto; le navi inglesi venivano a combattere le napoletane fin dentro alle cale del lito di Calabria, e poiché da questa parte era poco forte l'armata, andavano incontro su piccole barche velocemente remando i nostri soldati, all'arrembaggio, modo feroce in quella guerra, perché pieno di danni e di morti senza scopo o benefizio. Nel campo di Gioacchino spesso disponevansi navi e soldati, che, simulando il tragitto, apportavano al campo inglese ansietà e travagli. E molte volte sarebbesi passato dal finto al vero se gl'impeti di Murat non ratteneva Grénier, che, non potendo palesare il segreto, lo copriva con la impossibilità della impresa, mentre Gioacchino ne dimostrava l'agevolezza: e sì che ne' capi dell'esercito e dell'armata, divise le sentenze, voltarono in discordie le opinioni.
Così andarono le cose per cento giorni, e già passato il mezzo del settembre, gli equinozi agitando furiosamente il mare, bisognava a Gioacchino abbandonar con quei lidi la speranza della conquista. Ma volendo dar pruova che lo sbarco in Sicilia non era impossibile, preparate nella cala di Pentimele tante navi quante bastavano a milleseicento Napoletani, comandò che approdassero alla Scaletta i Soldati, e per la via di Santo Stefano si mostrassero a tergo di Messina, promettendo che il resto dell'esercito e dell'armata assalirebbe tra Messina e la Torre Il muovere dei Francesi da Grénier fu impedito; i Napoletani discesero al disegnato luogo, ma pochi e soli, contro schiere dieci volte maggiori combattendo, metà ritornò in Calabria, restarono gli altri prigioni.
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