Gioacchino esaltò que' fatti; e pochi giorni appresso, levato il campo, parti, ed imbarcatosi al Pizzo tra popolari allegrezze (inganni della fortuna per ciò che nel suo fato stava scritto), fece in Napoli ritorno. Quella impresa, o direi meglio simulazione, oltre alle morti, alle ferite, alle prigioni, a' guasti della guerra, costò gravi somme alla finanza napoletana, e fu incentivo a confiscare molte barche di America venute in Napoli con promessa di sicuro e libero commercio. Minori morti, ma danni e spese quasi eguali tollerò la Sicilia; e fu allora che la Regina Carolina palesò più apertamente il suo sdegno contro gl'Inglesi, e si sparsero nuovi semi di nemicizia, che nel seguente anno fruttarono tristezze alla siciliana Corte e cangiamento politico a que' popoliXXVII. Mentre il re stava in Calabria con molta parte dell'esercito, quelle stesse province e le altre del regno erano sempre mai travagliate dal brigantaggio; le provvigioni di guerra predate sul cammino, i soldati assaliti ed uccisi per fino intorno al campo. Un giorno nelle pianure di Palme il re, incontrandosi ad uomo che i gendarmi menavano legato, dimandò chi fosse; e prima di ogni altro parlò il prigione e disse: - Maestà, sono un brigante, ma degno di perdono, perché ieri mentre Vostra Maestà saliva i monti di Scilla ed io stava nascosto dietro un macigno, poteva ucciderla; n'ebbi il pensiero, preparai le armi, e poi l'aspetto grande e regio mi trattenne. Ma se io ieri uccideva il re, oggi non sarei preso e vicino a morte. - Il re gli fece grazia, il brigante baciò il ginocchio del cavallo, partì libero e lieto, e da quel giorno visse onestamente nella sua patria.
Gioacchino poi che vidde possibile ogni delitto a' briganti, fece legge che un generale avesse potere supremo nelle Calabrie su di ogni cosa militare o civile per la distruzione del brigantaggio.
| |
Pizzo Napoli America Napoli Sicilia Regina Carolina Inglesi Corte Calabria Palme Vostra Maestà Scilla Calabrie Maestà
|