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      E perciò, finito nel 1734 il vicereale governo, la stirpe de' Borboni trovò piano il cammino alle riforme.
      XXXIV. Ed era riformatore il secolo, riformatore ogni principe. La monarchia nei regni di Francia, di Spagna, della Germania rinvigoriva dal reprimere i baroni, e, sgravando il popolo di gran parte de' pesi e delle servitù feudali, renderlo amante e sostenitore di un potere unico e supremo; l'esempio fu imitato da Carlo, primo re tra noi della stirpe borbonica. Si aggiungeva che i baroni delle province, ricchi ma spregiati, dimentichi o non curanti delle armi, molti ma piccoli, e la più parte surti da plebe per favore dei passati re o della fortuna, avidi perciò di fasto, vennero alla città, volontari o richiesti, a sperar gli onori della nuova Corte. Carlo li accolse, e avvincendoli delle vóte ma tenacissime catene della boria e del lusso, li rese di emuli, servi, e di potenti a resistere, impotentissimi. E dopo ciò, pubblicate parecchie leggi a danno della feudalità, e repressi non pochi abusi, dichiarò che "per lunghezza di tempo non si acquista diritto sopra i popoli, e che le ingiustizie de' prepotenti non si legittimano da prescrizione". Così palesava il proponimento di abbattere la feudalità. Su le tracce istesse più rapidamente camminò a' primi anni del suo regno il successore di Carlo, Ferdinando IV. E poi che fu vista la tendenza del Governo, e che la filosofia e la ragione potevano mostrarsi a viso aperto, molti scritti erudivano i governanti, atterrivano i feudatari, sollevavano i popoli, creavano quella universale opinione che dee precedere alle riforme: e qui cito ad onore le opere del Filangieri, del Galanti, del Signorelli, del Délfico. Preso animo, le popolazioni richiamandosi di molte gravezze baronali, il re prescrisse che i magistrati ne giudicassero; e questi, come voleva giustizia e genio di tempo, diedero sentenze favorevoli alle comunità litiganti, esempio alle altre ed incitamento a nuove liti.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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