Ma Gioacchino che direbbe al mondo? E qui mi taccio, lasciando al suo proprio senno ed al suo proprio onore l'uffizio del migliore consiglio. Tutto impone a Vostra Maestà il debito di restar fedele alla Francia. Trentamila soldati dell'esercito napoletano difendono il regno; e basteranno, se Vostra Maestà è con essi, contro le forze siciliane ed inglesi, il cui maggior nerbo è sul Reno e in Ispagna; trenta altre migliaia si uniscano alle schiere italo-franche; e così, formando poderoso esercito, portino in Alemagna ed a Vienna la guerra e la vendetta. L'Italia, ch'è nel mezzo fra due eserciti confederati, resterà obbediente, e sarà larga d'armi e danaro. L'inimico, se fosse potentissimo, non potrebbe attaccare l'Italia che nelle due estreme fronti, ossia negli Stati di Napoli, facendo base la Sicilia, o negli Stati del regno italico, partendosi dalla Germania. I due eserciti, di Vostra Maestà e del viceré, comunicherebbero per linee interne; l'uno nelle sventure piegherebbe sull'altro, e sarìa più forte. La guerra d'Italia, che che mai avvenisse sul Reno, starebbe da sé sola, per grandezza di scopo e di mole; ed a chi la maneggia darebbe cagione ed opportunità di politiche transazioni. A tale sono oggi le cose che Napoli contro Francia sarà tributaria d'armi contro a sé stessa, soggetta alla volontà di re avversi e potenti; ma Napoli, se resterà alleata della Francia, si eleverà a nazione libera di sé stessa e del proprio avanzamento. E perciò restar fedele agli antichi patti, accertarne l'imperator de' Francesi, concordarsi col viceré d'Italia su la idea della guerra comune, questo è il mio voto. Io ne credo felice il successo; ma se lussi dubbioso, vorrei prepararmi nelle sventure la consolazione di poter dire al mondo e a me stesso: tra
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