E sopratutto la prego a non prendersi di falsa specie di gloria, ma credere che vi ha un sol mezzo da serbar la sua fama, serbando il trono.
LVI. E mentre l'oratore parlava, Gioacchino, che pure usava di rompere il discorso, attentamente l'udiva. Mostrò talora disdegno, ma subito lo frenò, perché i liberi detti uscivano di labbro amico e devoto; due volte fu commosso, quando si figurò scudo alla vita di Buonaparte, e quando invitato a distruggere un libro delle sue istorie, pareva che dovesse distruggere quello de' propri affetti. Accommiatò l'oratore, gli rese grazie; altri generali avevano parlato o dipoi parlarono nei sensi stessi: le cose di Francia peggioravano; la neutralità della Svizzera presso che violata, gli eserciti tedeschi su l'Adige, Venezia bloccata; cresceva nel suo reame la scontentezza, nell'esercito la contumacia; alle lettere di lui e della regina, espositrici de' pericoli del regno, l'imperator Napoleone, per superbia o sospetto, non rispondeva. Incalzavano il re gli avvenimenti; stava per unirsi all'Austria, quando giunse in Napoli il duca d'Otranto Fouché, già ministro, mandato da Buonaparte a spiare in segreto l'animo di Gioacchino ed a mantenerlo nelle parti della Francia; onde egli, simulando la modestia e la collera di un disgraziato, diceva esser venuto a diporto; ma in privato a Gioacchino, per amore e servizio di lui.
Trattenutosi pochi dì, tornò a Roma. Restarono occulte le sue pratiche, ma dipoi osservate di Gioacchino l'arti doppie e ingannevoli, fu creduto che derivassero, oltra che dal proprio ingegno, da' consigli del duca d'Otranto, tal uomo nelle universali opinioni da disdegnare per fino i successi che non fossero frutto di rigiri e perfidie.
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