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      Gioacchino scriveva a Miollis, a Barbou, a Fouché sensi amichevoli: diceva che necessità di regno lo aveva spinto a quell'alleanza, ma che, divoto ed amante della Francia, renderebbe concordi gl'interessi di Stato e gli affetti propri. Proteste non credute. Il generale Miollis con forte presidio acquartierò in Castel Sant'Angelo, il generale Lasalcette in Civita Vecchia con ciò che restava di soldati francesi; il general Barbou voleva guardare in Ancona due castelli, ma i Napoletani, destreggiando, sorpresero quel dei Cappuccini, sì che i Francesi, milacinquecento fra soldati e impiegati civili, si chiusero nella cittadella. Tutta la Romagna con le Marche restò abbandonata ai Napoletani, che, dubbiosi per mancanza o contraddizione di ordini, come dubbioso era il re per contrasto di affetti, non guerreggiavano, non amministravano quel paese; avevano le sollecitudini della guerra, il fastidio delle guernigioni, tutte le molestie, tutti i pericoli della incertezza. I generali scrivevano al re di quelle perplessità, ed avevano risposte nulle o varie; tal che, surto sospetto ch'ei macchinasse inganni, temevano o per sé medesimi o per le sorti di Napoli.
      In quel mese di gennaro Gioacchino andò a Roma, e non ottenne, come sperava, da Miollis Castel Sant'Angelo e Civita Vecchia: passò ad Ancona, né Barbou volle cedere la cittadella. Vidde in iscompiglio le amministrazioni interne, udì le protestazioni dei generali, le rimostranze dei magistrati, i lamenti del popolo: i ministri austriaci biasimavano la sua lentezza, chiamandola mancamento al trattato. Il più fingere apportava danno e pericolo; ond'egli comandò, partendosi per Bologna, avanzarsi le schiere napoletane per congiungerle alla legione tedesca, retta dal generale Nugent; stringere in assedio Ancona, Castel Sant'Angelo e Civita Vecchia; ordinare le parti civili dei paesi occupati, impiegando il consiglio e l'opere dei migliori ingegni napoletani.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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