LXI. Da varie parti, quasi al giorno istesso, tre gravi sventure vennero ad affliggere Gioacchino. I generali del suo campo dimandarono con risolutezza di essere intesi negli affari di quella guerra. Il papa, liberato da Buonaparte, incamminato verso Roma, era già sul confine di Parma. In Abruzzo i Carbonari, mossi a ribellione, commovendo parecchi paesi, aveano alzata bandiera borbonica. De' quali avvenimenti dirò più a lungo.
I generali di Gioacchino erano dell'esercito la miglior parte per servigi, virtù di guerra ed ingegno. Giovani di età, partigiani dell'idee nuove, ed amanti ab antico di patria e d'Italia, divoti a Gioacchino per gratitudine ed ambizione, ma esperti ed abusatori de' principali suoi difetti, premiar troppo, punir giammai, e sì che nello esercito si ambivano le azioni di merito, guerra, fatiche, cimenti, e poco temevansi le ribalderie e le colpe. Ora quei generali, seguaci del re nelle prime controversie con Buonaparte, alcuni partecipi e consiglieri delle conferenze di Ponza, la più parte instigatori alla lega con l'Austria, e tutti solleciti dell'onore dell'esercito e del capo, vedendo che la politica falsa e cangiante menava il re ed il regno a irreparabile rovina, parlandosi l'un l'altro e rattristandosi, sperarono indurre Murat a proponimento migliore. Con foglio sottoscritto da due, che per più lunghi servigi erano primi, chiesero che in quelle circostanze gravissime il re, convocando un consiglio per la guerra, sentisse il voto de' suoi generali.
Parve quel foglio, ed era, deliberazione dell'esercito, detrazione all'imperio del capo, novella specie di ribellione, colpa degna di pena. Se Gioacchino avesse avuto animo a punire, non prorompevano i maggiori dell'esercito a quella estrema baldanza; ma il re, che perdonava fino agl'infimi dell'esercito, non punirebbe i primi, carissimi a lui e solamente colpevoli di troppo zelo.
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