Quei ""Presidi"", utili in pace a' re di Napoli, non poca forza nelle guerre d'Italia, e possesso di tre secoli, perduti per la rivoluzione di Francia, furono obliati nei trattati tra Fouché e Lecchi, e poi alla consegna toscana fra Roccaromana e Rospigliosi; cosicché due dimenticanze disperderono il frutto di tre guerre di Alfonso I di Aragona e di Filippo IV, e della continua prudenza dei re successori. Genova, vaneggiando di libertà, obbediva alle vecchie sue leggi. Le Marche, presidiate e comandate da milizie napoletane, tolleravano governo misto, altiero e bene spesso assoluto. Perciò la civiltà nuova, che poco fa copriva la quasi intera Europa, serbava immagine di sé nel solo regno di Napoli.
LXVIII. Gioacchino, riparate come poteva le sue cose d'Italia, e lasciate nelle Marche due legioni sotto l'impero del general Carascosa, governatore di quelle province, tornò in Napoli. Furono grandi le feste, talune prescritte, altre suggerite dall'adulazione, tutte ingannevoli; perocché la caduta di Buonaparte e l'impeto del vecchio sopra il nuovo, lasciando Gioacchino isolato e straniero alla politica del tempo, suscitava nei popoli sospetto che le sorti del regno sarebbero in breve mutate. Ed indi a poco, in conferma di tali dubbiezze, si lessero gli editti del general Bellegarde, nunzi del ritorno dell'antica Lombardia all'Impero d'Austria; e i trattati di pace fermati a Parigi il 30 di maggio, nei quali, non facendo motto del re di Napoli, si convocava congresso di ambasciatori a Vienna per i casi dubbi di dominio. Pompeggiava intanto ne' discorsi e negli editti de' più potenti re la "legittimità", parola ne' primi tempi variamente intesa; ma poiché fu da' principi definita la distruggitrice delle male opere di cinque lustri, conservatrice delle buone, e sopra le vaste rovine della Rivoluzione restauratrice benigna delle precedenti cose e persone, era parola e principio pericoloso e contrario a Gioacchino.
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