Quanti erano stranieri nel regno dimandarono la cittadinanza napoletana; ed aperto l'esame nel Consiglio di Stato, pochi de' consiglieri mostravansi severi, molti facili; ma coll'andare de' giorni la severità prevaleva. E, ciò visto, i Francesi, per disperazione fatti audaci, dicevano al re: - Da voi pregati, lusingati da voi (rammentando i tempi, i luoghi, le parole), siamo rimasti con voi, nemico alla Francia; ed ora voi stesso, felice in trono, discacciate noi, senza patria, infelicissimi, poveri, e solamente colpevoli della vostra colpa. - Rimproveri acerbi perché veri.
L'animo del re fu commosso; ché ad ogn'istante al mal preso partito d'infingere e d'ingannare egli pagava larghissimo tributo di dolori e di danni. Venne in Consiglio di Stato preparato a difendere gli stranieri col renderne facile la cittadinanza, e disse: - Io parlo a voi questa volta come re a' consiglieri, e come padre a' figli; perciocché nella questione che proporrò, trovandosi confusi interessi ed affetti, si competono i giudizi della mente e del cuore. Da che le fortune di Francia mutarono, e giovò al regno l'esser nemico di quell'Impero, io, benché francese, congiunto di sangue e debitore del trono all'imperator Napoleone, seguendo il vostro interesse e i consigli vostri, mi legai in guerra co' nemici della mia patria e della mia famiglia. Il mio cuore, non vo' nascondere il vero, è stato assalito da contrari affetti; ha combattuto in segreto per molti mesi, e combatte; i doveri di re hanno sempre vinto e vinceranno. E benché la quistione che or ora proporrò sia dentro me stesso decisa, se voi sarete contrari al mio voto, io non userò del sovrano potere, ma tollerando questo nuovo dolore, seconderò il vostro avviso.
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