De' molti Francesi che in guerra o negli offici di pace han servito tra noi, e che a mal grado dispongonsi all'andare, io a picciol numero, a' soli ventisei qui registrati (mostrò un foglio) ho promesso che voi concederete la dimandata cittadinanza. Sono gli stessi che, volendo partirsi mesi addietro, io, travagliato sul Po, trattenni con preghiere e lusinghe. Non troverebbero in Francia né patria, che da nemici abbandonarono, né stima pubblica, né la stessa misera quiete dell'oscurità, giacché troppo noti per fama ed opere. Or io vi domando per essi la cittadinanza; il concederla, fia premio a' servigi che han reso alla nostra patria, pietà del loro stato, condiscendenza alle mie promesse. - E ciò con amorevole gesto proferito, più altieramente soggiunse: - È libero ad ognuno il rispondere.
Il qual discorso avrebbe ottenuto pieno e sollecito effetto, se il continuo simulare del re non avesse scemata fede a' suoi detti, e se la quistione di cittadinanza non legavasi all'altra maggiore della Costituzione, che aveva tra' consiglieri non pochi sostenitori, e contrari i Francesi amici del re, i nomi dei quali non dubitavasi che fossero nel novero de' ventisei. Due consiglieri, più animosi, sommessamente risposero che, non essendo in facoltà del Consiglio mutare lo Statuto di Baiona, si tratterebbe della cittadinanza de' ventisei per le vie di legge; che intanto pregavano il re con filiale rispetto ed amore a riflettere ch'egli aveva, non solamente promesso, ma giurato a cinque milioni di soggetti il mantenimento dello Statuto; che in quei tempi di politica difficilissima rivocare i giuramenti e le promesse era troppa fidanza nella rassegnazione dei popoli, e che dopo dolori tanto vivi al suo cuore, quanto profittevoli al regno, non volesse perderne il frutto, e adombrarne il merito per fievoli cagioni.
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