Uno dei ministri, per la opposta parte, in sostegno de' voleri del re, lungamente parlò, ed ebbe vivaci risposte; l'accesa disputa si prolungava, ma il re la interruppe, dicendo: - Oramai le varie sentenze sono manifeste; si dicano i voti. - Di ventotto consiglieri, ventitré furono per la sentenza del re, gli altri cinque per la opposta; e questi, mal veduti dal principe, erano dal pubblico laudati.
Vittorioso, il re propose di concedere cittadinanza ad ogni straniero che avesse militato nel nostro esercito; ed un suo ministro aggiungeva che per merito d'armi ogni Stato diviene patria a' guerrieri. I due consiglieri, sfortunati nel primo arringo, opponevano che, passato il tempo della "sgherreria" militare, e le armi stesse divenute civili, il più onorevole officio era servir la patria combattendo; ma il più vergognoso, vendere altrui, o per oro o per falsa gloria, la vita. Eppure in quell'adunanza di cittadini e di onesti, non per sentimento ma per servitù, il voto del re fu secondato dai ventitré medesimi della prima sentenza. E passando a' nomi degli ammessi, la lista de' ventisei fu trovata di trentotto, e quindi estesa a piacimento; l'altra de' militari lunghissima; non partirono che i volontari e i più miseri: il re, che in Consiglio era entrato modesto, ne uscì altiero; e que' fatti, divolgati, accrescevano desiderio di porre alcun modo al supremo potere.
LXX. Le riforme proposte per lo esercito non furono seguite; ché ben altro in quel tempo era il pensiero e 'l bisogno di Gioacchino, che diminuire la sua potenza. Egli scortamente l'accrebbe, chiamando nuovi coscritti, componendo nuovi reggimenti di fanti e cavalieri, e meglio ordinando tutte le parti della milizia.
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Stato Consiglio Gioacchino
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