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      Poi, ragionando della politica europea, rappresentava i pericoli della civiltà, non solo temuti ma sperimentati, rassegnava in argomento tutti gli Stati d'Italia; il retrocedere del Piemonte, la ingannata e oppressa Repubblica genovese, il Regno italico disciolto, i Lombardi abbiettati, tutta l'antica Romagna minacciata della barbarie papale, ed in Roma la tortura rialzata. - Si poteva confederarsi a' nemici di Buonaparte, sospirando ei diceva, quando accertavano voler la Francia frenata, non oppressa, e le sorti de' popoli migliorate, e gli antichi re ammansiti, e non perduto il frutto de' travagli di trenta anni, e de' pensieri di due secoli: ma che oggi, vista scopertamente la politica del Congresso, il combattere per quelle parti sarìa misfatto di offesa civiltà.
      Eppure tante ragioni e speranze non lusingavano il Consiglio, il quale, componendosi di Napoletani e Francesi, vedendo nella guerra pericoli per la Francia, pericoli maggiori per Napoli, ed in Gioacchino, passione più che senno, ed ambizione, non politica di re italiano, concluse: che si attendessero le risposte da Vienna e Londra alle lettere del 5; si scoprissero dell'Austria (or che il tempo e gli avvenimenti la stringevano) le vere intenzioni sul trono di Napoli; si aspettasse la fine dell'impresa di Buonaparte, e la decisione del Congresso europeo su le cose di Francia. A questo, il Consiglio si sciolse; ma nel re non scemò il proponimento di guerra; gli apparecchi incalzavano, le nuove leggi riformatrici del regno cadevano, la speranza di Costituzione mancava, tutti gli attesi benefizi pubblici erano spenti o allentati, ed un gran pericolo soprastava. Manifestato il pensiero del re, le opposizioni furono maggiori, pubbliche, ma vane; già i destini di Murat si compivano: a' dì 15 marzo 1815 palesò la guerra.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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