Di tutta quell'oste il maggior nerbo accampava dietro al Po, e la minor parte sull'altra sponda, avanzando i reggimenti a scaloni sino a Cesena; piccola brigata guidava in Toscana il general Nugent; quattro ponti sul Po (a Piacenza, Borgoforte, Occhiobello e Lago-scuro) erano per i Tedeschi muniti e guardati; ogni altra parte del fiume custodita ed invalicabile; guernivano di poche schiere la valle di Comacchio ed il ponte di Goro. I campi dietro al Po appoggiavano alla fortezza di Pizzighettone, Mantova e Legnago; e questa fronte o cortina aveva innanzi come bastioni le altre due fortezze di Alessandria e Ferrara. Quello esercito stava dunque con fortissime posizioni che componevano, per natura di opere, possente linea di difesa; o, se le fortune della guerra mutassero, base di operazione contro l'esercito napoletano.
LXXIX. La guerra, ormai certa, fu denunciata il 30 marzo per editti e combattimenti. Un decreto di Gioacchino aggregava le province delle Marche e i distretti di Urbino, Pesaro e Gubbio al suo regno, cosicché n'era il confine non più il Tronto, ma il Foglia: e un editto concitava i soldati alla guerra, dicendo nemici gli Austriaci; motivo a combattere la infedeltà del Governo di Austria; obbietto la indipendenza italiana; stimolo all'esercito la gloria, lo onore, le ricompense, i ricordi; e aiuto a lui tutte le armi d'Italia. Altro editto agl'Italiani numerava le loro sventure, rammentava i beni della indipendenza, prometteva libera Costituzione, diceva mossi a combattere ottantamila Napoletani, invitava i forti alle armi, i sapienti ai consigli; eccitava l'odio, la vendetta, le speranze, l'ambizione. Ma in questo invito alla italiana indipendenza appresso al nome francese di Murat era sottoscritto Millet, francese.
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